<%if foto<>"0" then%>
|
|
|
 VOTO Per il partito del diavolo. Quello dei mercanti, delle mignotte, dei preventivi.
Che ha inventato il marketing e gli hippie. Principio vitale e creatore, maschio, della contemporaneità. Ora, però, sta perdendo dei colpi. Martiri e beghini non fanno altro che strillare di valori e verità. Tutte balle per il vecchio tiranno, avvezzo alla ruvida legge del business e a quella melliflua del piacere. Parole incomprensibili, sparate in tutto il mondo dalla comunicazione.
Il re si era illuso. Per anni aveva dimenticato: non era solo al suo arrivo. La comunicazione era sempre stata lì. Creatrice, femmina, dell’umanità. Il vecchio aveva creduto di dominarla e in effetti per lungo tempo era andata così. Non aveva più memoria di essere anch'egli una sua creazione. Una funzione. Lei poi se ne stava in un angolo. Zitta e buona, casa e bottega.
Non aveva fatto una piega neanche quando le aveva portato a casa la tecnologia. L'arrivo della nuova amichetta sembrava non turbarla. Anzi: assecondava di buona lena ogni morbosità del veccho pervertito. Poi ci ha preso gusto e ha cominciato a giocare per sé. La nuova non le dispiaceva affatto, era una complice ideale. Efficiente, assecondava ogni voglia con pruriginosa meticolosità. E aumentava sempre la posta.
Dominata e dominatrice, allora, si sono messe a giocare insieme. Proprio sotto gli occhi del re, che non vedeva e si compiaceva: la partita era sempre più eccitante. Ma gli sguardi tradivano e il vecchio era costretto a rincorrere. Sempre più spesso non capiva e passava in rassegna prima l'una poi l’altra, a ripetizione, per afferrare qualcosa. La bocca spalancata.
Loro lo tranquillizzavano, gli facevano le coccole e lo mettevano a dormire. Era stato un re glorioso e non si meritava uno scherno manifesto. Dentro di loro, però, sapevano già come sarebbe finita.
 |
|
|
|
4 marzo 2013
PRIMA DELL'ESTINZIONE
 Una decina di giorni prima del 25 febbraio 2013, dopo che una pioggia
di meteoriti aveva provocato esplosioni nel cielo degli Urali, un
asteroide di centotrentacinquemila tonnellate e quarantacinque metri di
diametro era sfrecciato a circa ventisettemila chilometri dalla Terra,
alle 20 e 25, ora italiana. Senza apocalissi
di sorta. Anche i più tenaci apologeti dell’Armageddon Maya ritardato
si erano dovuti arrendere alla noiosa evidenza della persistente
sopravvivenza della, cocciuta, specie umana.
Dopo dieci giorni, più o meno alla stessa ora, era ormai chiaro che
in Italia il Maya di turno non era nato tra le nebbie della bassa padana
di Bettola. Di lì a qualche ora l’inviato di Porta a Porta,
imbalsamato nel suo piumotto circonfuso dalle luci di scena e dalla
spettrale quiete residenziale promanante dalla villa del timoniere di
Sant’Ilario, avrebbe spalancato le braccia e il sorriso, disarmante e
disarmato: “non abbiamo contatti con Beppe Grillo, né col suo staff… di
nessun tipo”.
“Gli alieni sono invece introvabili, non sai con chi parlare, sono
inafferrabili, interlocutori politici potenziali e media sono alla
stessa stregua tenuti fuori dalla porta, anzi non c’è la porta, non si
sa dove stanno e che fanno, vai fuori dalla casa di Grillo a Genova o
vai a Bologna dove c’è un’esperienza in Comune o cerchi disperatamente
di vedere se c’è un modello siciliano di omologazione, chissà, non hanno
l’etichetta al citofono, vogliono fare le sentinelle della rete dentro
le istituzioni, la delega ai capi è assoluta, nessuno si sente
autorizzato nemmeno a fingere di avere una opinione per sé, spendibile
politicamente, comunicabile senza passare per l’imbuto del web
controllato dal blogger.”
E pouf. Passa una settimana e l’Italia è Mars Attacks. Alieni, setta, strategia diversiva di matrice neoliberista
o forza di occupazione che dir si voglia: fatto sta che la prima parte
del tanto sbandierato piano di Grillo&Casaleggio è andato
magicamente in porto e l’Italia, le istituzioni repubblicane e tutta la
baracca sono in ostaggio. Dopo anni passati a far le prove,
scimmiottando le Br prima (sul blog venivano pubblicati i “comunicati
politici” con un font tipo ciclostile anni ’70) e scippando poi senza
vergogna Alan Moore, Anonymous e il movimento antagonista dell’icona di Guy Fawkes.
Appena si aprono le urne, come per magia, alcuni dei protagonisti
della storia della Repubblica recente e meno recente non esistono più.
La polizia del karma inghiotte subito Fini, Di Pietro, i comunisti e i
verdi di ogni ordine e grado (già semi-morti), Ingroia, ma anche Casini e
Monti scompaiono presto dai radar delle agenzie dopo le prime,
pallidissime, dichiarazioni di rito. Come previsto dal Piano di
Occupazione Stellare del Nexus 7 con gli occhialoni, rimangono in piedi
solo l’uomo di Bettola e quello di Arcore, nati sotto il segno della
Vergine. Lo stesso giorno.
Vendola, come da programma, comincia a sbarellare e attacca a dare
segni di diserzione ad appena ventiquattrore dalla chiusura dei seggi.
Aveva impiegato fior fior di sonetti e narrazioni per spiegare al popolo
della sinistra e ai fratelli dei media di volta in volta convenuti che
Grillo era un fascista della peggior risma, populista e maschilista
becero, gemello del Berlusca brutto e cattivo, e ora la stessa passione
gli sgorga con medesima ispirata naturalezza per sostenere l’esatto
contrario. Naturalmente ha buon gioco, il timoniere, a prenderlo per il culo senza troppi complimenti.
“Vendola si è ingrillato all’improvviso dopo le elezioni. Si è
vestito di nuovo come le brocche dei biancospini. Sembra un’altra
persona. Ha un rinnovato linguaggio, comunque sempre variegato, e
adopera inusitate e pittoresche proposizioni verso il M5S. Vendola ci
ama: “Grillo non è un fantasma per il quale bisogna convocare
l’esorcista, è un nostro interlocutore”. È lo stesso Vendola che il 20
febbraio 2013, a tre giorni dall’appuntamento elettorale, su La 7
spiegava: “Grillo è un populista di piazza. Grillo è il virtuoso della
demolizione ma chi ricostruirà il Paese? Grillo è un’evoluzione di
Berlusconi.”
Tra l’altro probabilmente è vero. Grillo è un’evoluzione di
Berlusconi tanto quanto il MoVimento a 5 Stelle è un upload di Forza
Italia del 1994. Quello era un partito-azienda e questo sembra assomigliarci parecchio, il timoniere è il leader carismatico assoluto tanto quanto (e forse ancor di più) il Cavaliere Nero
dell’epoca. Casaleggio-Stranamore, poi, è molto più affascinante di
Dell’Utri, anche se con l’ex braccio destro di Berlusconi condivide la
passione bruciante per le cavalcate culturali d’annata.
Dice bene Ferrara: “il punto è che i grillini, nel bene e nel male,
perché questa è la loro novità e la loro forza oltre che la loro
controversa ambiguità, non sono un partito di plastica come fu Forza
Italia, magari, e non sono un partito di terra e sangue come fu la Lega
nord, magari. Non sono proprio, i grillini, un partito o un movimento
materiale, che abbia luoghi di formazione comprensibili e solidi, radici
culturali, un legame anche labile con una tradizione, magari da
ribaltare. Sono leggeri come ultracorpi, body snatchers, invadono lo
spazio pubblico clonandosi e moltiplicandosi con il consenso elettorale
legittimo, ma lasciandosi alle spalle piazze, polmoni e comizi che non
esprimono la loro autentica identità istituzionale, il loro carattere
come soggetto politico, ormai delegato a un esercito di piccole figure
scelte da piccole folle mediatiche sotto la occhiuta sorveglianza di una
società di marketing, la Casaleggio & Associati.”
Sono tutto e niente, festeggiati nell’ultima novecentesca orgia un
po’ lugubre da Dario Fo ed Ernesto Galli Della Loggia, Leonardo Del
Vecchio e “Bifo” (leader del ’77 bolognese), Celentano e Goldman Sachs.
All together. E blanditi e corteggiati, a suon di minacce spuntate e
lusinghe idiote quanto inutili, dall’agonizzante non-vincitore delle
elezioni. Lo scouting dei grillini è una sonora stronzata che permette
al timoniere di gridare al mercato delle vacche, il giorno della
richiesta di quattro anni di carcere a Berlusconi per la presunta
compravendita di senatore.
Dopo aver sbagliato tutto quello che c’era da sbagliare, dalle
primarie blindate agli italiani ai giaguari sul tetto, a quel che resta
del più grande partito della sinistra italiana rimane uno spazio di
manovra molto limitato, ma decisivo. Essersi chiusi nella ridotta di un
piccolo mondo antico immaginario, tra giovani-vecchi spartani
molestatori di blogger e funzionari decrepiti che non rispondono a nulla
se non a patetiche e suicide logiche di corrente, ha impedito sinora di
mostrare al Pd la reale posta in gioco.
Il dopobomba ha l’innegabile vantaggio della nitidezza. E mentre il
duo di Weimar gioca al Joker di Batman e soffia sul caos, aspettando
l’ultimo rantolo di un sistema irriformabile per clonare definitivamente
le istituzioni repubblicane in un software eterodiretto da una
maggioranza di byte “eletti solo dalla Rete”, la gente in carne ed ossa
comincerà presto a farsela sotto. Grillo ha scritto che di qui a sei
mesi non ci saranno più i soldi per pagare pensioni e stipendi:
significa che prevede che in sei mesi salti il banco.
Questo è, ragionevolmente, l’intervallo di tempo rimasto per far
saltare il banco a loro. La seconda parte del geniale piano del
timoniere e del guru capelluto prevede, dopo il blocco della democrazia
repubblicana, il filotto. Si torna a votare, sbaragliano tutti e inizia Brazil.
Per questo sono e saranno indisponibili a qualunque alleanza di
governo, di qualunque genere, con qualunque programma. In questo sta
l’evoluzione, l’upload, rispetto a Forza Italia: nella natura
intrinsecamente totalitaria del loro movimento.
Ma c’è un ma, anche se tenue. La politica: qualcuno è in grado di
portare in Parlamento alcune leggi (poche, radicali e in fretta) che
rispondono all’incazzatura popolare e, rompendo l’incantesimo, mostrano
che si può fare. L’aula sorda e grigia può riformare sé stessa e allora,
si, Grillo potrà serenamente essere mandato affanculo dagli elettori.
Che notoriamente non votano mai per gratitudine.
L'articolo è stato pubblicato su The FrontPage.
|
19 gennaio 2013
CAYMANISTAN 2 / IL RITORNO
“Diciamo che la politica va vista con attenzione. Ingroia ora è
un’eversione nera che incide nel profondo il movimentismo ormai smarrito
che si definisce di sinistra, ma che poi si innamora di progetti di
ultradestra come Grillo, Ingroia, Di Pietro. Berlusconi è stato comunque
l’ultimo a fare politica estera e per questo l’han fatto fuori. Se non
altro perché i nemici li preferisco davanti piuttosto che di fianco,
butto anche io Ingroia.”
Il mio vecchio compare di occupazione Fabio Zanon, dopo un acceso e
per certi versi tipico dibattito pre-elettorale su Facebook, risponde
così alla questione che avevo posto all’attenzione dei miei amici
virtuali: “Tra Berlusca e Ingroia giù dalla torre ci spedisco Ingroia”.
Zanon conduce in queste ore un’appassionata e incredula campagna, da
sinistra, contro la candidatura del magistrato palermitano.
La sua incredulità si appunta sull’innegabile dato di fatto che il
calderone politico di tutte le sigle, associazioni, movimenti e
collettivi dell’estrema sinistra (Partito Comunista dei Lavoratori
escluso, se non erro) abbia come leader un magistrato, peraltro di nota
propensione “manettara”, accompagnato da due ex colleghi come il
brillante De Magistris e l’ormai spompato Di Pietro (apripista però di
questa sorta di privatizzazione della politica per via giudiziaria).
Ironica sorte, quella dei militanti dei centri sociali, del movimento
No Tav e di tutte le realtà antagoniste per cui, sinora, il magistrato
di turno era stato fondamentalmente stato il capo delle guardie. Quello
che mandava la perquisizione, faceva sequestrare il computer, arrestare i
compagni di lotta. Ora legalità e questione morale (“intrinsecamente
reazionaria” secondo un altro commentatore su Facebook), diventano erga
omnes il mito fondativo della nuova rivoluzione civile e tengono in
scacco gli altri. “Un po’ come se la Juve entrasse in campo dichiarando:
il nostro obiettivo è rispettare il regolamento”. Sintetizza
efficacemente Zanon.
Spostandosi un po’ a destra, poi, non è che il panorama si rallegri
più di tanto. “Benvenuta Sinistra” ricorda con vago struggimento
“Maledetta Primavera” e i sondaggi consegnano
un poeta pugliese sembra sempre più sfiatato, un po’ dalla competition
col magistrato (che si dichiara gagliardamente pronto a ritornarsene in Guatemala,
dovesse girar male) e un po’ dall’inevitabile abbraccio mortale con la
logica di governo (logica a cui peraltro è ben rodato), fatta più di
compromessi e mezze sconfitte che di narrazioni ispirate.
“Il logo di Monti sarebbe perfetto come nuovo logo del Club Alpino
Italiano, è tristissimo, quasi da pompe funebri e con un font vagamente
fascistoide”. “Scelta civica: con Merkel per l’Italia” è senz’altro il fake
più riuscito del nuovo logo del ressemblement centrista che fa capo a
Monti. Che non è brutto, come dice Toscani, se la pubblicità dev’essere
un modo per rappresentare con efficacia il prodotto.
Perché questo è il prodotto. Ormai a seguire anche distrattamente le
cronache, pare evidente che definire elitario o tecnocratico l’approccio
alla politica di Monti sia piuttosto generico e per certi versi
fuorviante. Il premier si comporta, agisce e interagisce come se fosse
né più né meno, tipo, che il responsabile risorse umane per l’Europa del
Sud della Goldman Sachs o di una Spectre qualsiasi e gli fosse toccata
in sorte la rogna di raddrizzare, secondo logiche aziendali immote e
immutabili, la guappa Italia.
Intanto, nei duri fatti, la gente comincia a toccare con mano quanto e
cosa significa la “cura Monti”. Non solo per una questione di
quattrini, che sono più che sacrosanti sia chiaro, ma in termini di
concezione della vita in comunità. Di spazi di libertà e responsabilità.
Il nuovo redditometro, che inverte l’onere della prova tra Stato e
individuo in materia fiscale, rappresenta assai bene la destinazione
poliziesca a cui conduce il carro funebre dell’austerity montiana.
Gli alleati inevitabili, apparentati coi fratellini di sinistra di
Vendola, sono allo stato attuale l’unico partito in campo. Il Maya di Bettola, confortato dai potenti fiati del destino, ha sparigliato le carte nella sua metà campo (e soprattutto in ditta),
ma ora si trova coi sondaggi che lo inchiodano (di già) alla quasi
ingovernabilità del Senato. Se Ingroia non desiste (e non mi pare il
tipo, visti i precedenti) nelle regioni in bilico (Lombardia, Veneto,
Campania e Sicilia) si fa dura.
Così, dopo le Cayman e il fuoco amico, è partita la corte a Renzi a cui pare stiano cominciando a piovere profferte
di poltrone e primizie. Si dice che il Sindaco di Firenze aspetti il
prossimo giro, il cadavere sul fiume, scommettendo da pokerista sulla
fragilità del sempre più probabile Bersani-Monti-Vendola, per poi
ripresentarsi in camicia bianca col sorrisetto sornione come a dire:
avete visto? Di certo se avesse vinto lui, non si sarebbe assistito al
Ritorno.
L’ennesimo Ritorno, nella partita ventennale tra Berlusconi e il
resto del mondo, la solita incredibile telenovela che inchioda l’Italia a
un’epoca in cui Internet era conosciuto solo da quattro scienziati
occhialuti e il Muro di Berlino era caduto da qualche anno appena. L’Era
televisiva, il passato che non passa, e che giovedì scorso è andato in
onda in prima serata, da Santoro, e ha fatto lo stesso share della
finale del Festival di Sanremo o dei Mondiali.
“Lasciate che vi spieghi com’è questo paese: questo paese non è
governabile” ha esordito Berlusconi nella fossa dei leoni, con un
sorriso smagliante. Chi, come i bagarini inglesi, credeva che
sbroccasse, si mettesse a urlare paonazzo in volto, lasciasse lo studio,
si è dovuto ricredere. “Santoro siamo da lei o siamo a Zelig?” Ha
esclamato a un certo punto in un vertice creativo, quando ormai
l’intrattenimento aveva definitivamente sussunto la politica, prima di
giustiziare il giustiziere: “Lascialo qua, Travaglio, lo voglio guardare
in faccia”. Dopo, come da copione, sono (ri)cominciati i cazzi amari.
L'articolo è stato pubblicato su The FrontPage.
|
4 gennaio 2013
IL MAYA DI BETTOLA
 “«Il mondo lo hanno distrutto i politici, altro che la profezia dei
Maya!». Il risultato non cambia. Barba bianca e ammirevole coscienza
dell’identità collettiva, «noi valdesi stiamo scappando da seicento
anni», il signor Aldo ricorda di quando il villaggio contava 340 anime e
«le zappe non erano coperte di ruggine, e la farina non era la materia
morta che è adesso ma una cosa buona da mischiare alla segale, per fare
il pane». Nostalgia di un mondo che non c’è più, nel vero senso
dell’espressione? «Distruggere quello che ti dà la vita è puro
autolesionismo. Andate nelle vallate a vedere cos’hanno combinato,
autostrade, dighe, cemento ovunque: se è finita davvero nessun
rimpianto, io me ne sto quassù».”
Non so, francamente, se la farfalla di Bradbury abbia
spiccato il volo, in qualche sperduto angolo del mondo il giorno del
Solstizio d’Inverno del 2012, né se siamo o meno entrati ufficialmente
nell’Era dell’Acquario all’insaputa di tutti, fatta salva naturalmente
l’élite di fulminati new age che ci crede di brutto ed è pronta, ad ogni
aperitivo, a sguainare l’arco nuovo di trinca e ad oliare la zappa. Io
non mi sento così baldanzosamente razionalista da escluderlo. Mi pare
che vedere i bambini che a due anni cercano di cliccare sulle pagine di
carta, quando non hanno per le mani l’iPad, già significhi qualcosa.
Che poi non siamo in salute, che il mondo non stia bene, è chiaro
quasi a tutti. La declinazione ovviamente cambia, ma la sostanza è la
stessa. A che pro? Qual è la posta dello sbattimento? Produci, consuma e
preparati a crepare alla meno peggio? Di quante autostrade avremo
ancora bisogno per capire che il problema non è la coda, ma il week-end?
La gag dei Maya, per chi ha avuto voglia di esplorare, questo è stata:
l’occasione per mettere in fila le priorità, dare ordine alle domande.
“La fine del mondo è la punta Martel, neve, sole e lo spettacolo dei
Tredici Laghi, il torrente dove nuotano superbe trote fario, il volo
dell’aquila reale. L’altro mondo dev’essere finito due tornanti più
sotto, a dar retta ai Maya, e un giorno qualcuno controllerà. Non c’è
nessuna fretta.” Secondo l’aneddotica gossippara il villaggio di
Pradeltorno sulle Alpi Cozie era uno dei tre o quattro buchi del culo
del mondo in cui ci si poteva salvare dall’Armageddon.
Invece
“il settimanale L’Eco del Chisone (…) ha scoperto che la leggenda
piemontese è spuntata su Wikipedia solo il 4 giugno 2011, mentre le
indicazioni su Bugarach affondano le radici nella notte dei tempi. Non
solo: nessuna fonte citata, riscontri zero, e come si sa chiunque può
arricchire le voci di Wikipedia senza alcun controllo. Secondo il
giornale l’anonimo collaboratore della libera enciclopedia telematica
risulta poi essere un utente Vodafone della vicina Pinerolo, c’è anche
il numero dell’apparecchio…”
Ora che comunque l’allineamento non s’è allineato, la Cintura
Fotonica non ci ha fritto come coleotteri maldestri nella lampada
alogena e gli ufo non sono sbarcati su un rosso deserto piallato dal
sole, adesso che alla mezzanotte del 21 dicembre 2012 – ora italiana –
solo lo show un po’ mesto di un sito a caccia di click ha messo in scena il countdown per
la fine di un mondo “che è già finito da un pezzo”, ora che sono
passati pure Natale, Santo Stefano e Capodanno sarà finalmente chiaro a
tutti che l’unico vero Maya in circolazione è nato a Bettola.
Non certo Monti e la sua allegra brigata di banchieri, giannizzeri
finanziari e attempati perdigiorno della politica, di cui su Facebook
circola una simpatica epigrafe virale: «Dopo la saldatura di Monti,
Casini e Montezemolo con il Vaticano, mi aspetto l’appalto a
Finmeccanica per la costruzione della Morte Nera». Monti è stato
benedetto dalla follia nichilista di Berlusconi e forse il 24 febbraio è
abbastanza vicino da non far notare troppo il l’assai poco tecnico
codazzo d’imboscati, ma difficilmente riuscirà a far meglio di Mariotto
Segni diciannove anni fa. Perché dovrebbe?
E certo non sarà una gang di mozzorecchi assortiti, che non ho capito bene se ha sussunto in toto la versione law and order de sinistra 1.0 (l’Idv del buon Tonino, kaputt nei sondaggi dopo l’irruzione della Karma Police) o se ha solo valorizzato i “compagni” più meritevoli e televisionabili, a fare la “rivoluzione civile”
di cui vaneggiano sopra una versione oscenamente post punk del Pellizza
da Volpedo. Bene che va rosicchiano un po’ a Vendola e un po’ a Grillo e
fine della rivoluzione.
Di Berlusconi e della metà campo di destra francamente non vale la
pena parlare. Più che altro non me la sento, già ci capisco poco tra
nuovi partiti annunciati, primarie virtuali, psicodrammi vari, che mi
pare poi si vadano ricomponendo in gioiose rimpatriate sullo skilift, e
in più mi sembra che quella del capo sia una partita un po’ mesta. Se
voleva giocare non doveva tentare di ammazzare Monti, ora non vuole
arrendersi all’idea di non avercela fatta e continua ad alzare la posta
con una coppia di jack in mano. Forse cerca la bella morte, con tutti
quei nipotini. Che tristezza.
Alfine arriviamo a lui, al Maya di Bettola: l’uomo più sottovalutato
del 2012. Proviamo a tornare con la mente, per un attimo, a un anno fa.
Bersani era leader di un partito senza capo ne coda, o meglio con un
capo, lui, assediato da un migliaio di codazzi impazziti convinti di
essere qualcosa o qualcuno. Aveva appena digerito Monti, nonostante i
sondaggi gli avessero ripetuto fino alla noia che se andava a “votare
sotto la neve”, come strizzava l’occhietto il perfido Giuliano Ferrara,
avrebbe fatto cappotto.
Monti aveva cominciato subito a picchiare come un fabbro, proprio là
dove il dente duole: nella sua base di pensionati e aspiranti pensionati
e annunciava sfracelli nel pubblico impiego, proprio là dove il Pd ha
il consenso vero e il Sindacato tiene il suo ultimo bastione. Renzi e i
“giovani”, spalleggiati dagli infingardi media liberali, lo bastonavano
un giorno si, l’altro pure e appena per qualche ragione se ne
dimenticavano o si facevano un week-end in pace, Rosy Bindi rilasciava
un’intervista.
Ora, dopo aver accettato la sfida di Renzi (non era obbligato a
farlo, anzi) e averla vinta di oltre venti punti, ha stupito tutti gli
addetti ai lavori e ha indetto le primarie per la scelta dei
parlamentari: prima assoluta nella storia repubblicana. Naturalmente,
con sardonico cinismo emiliano, ha scelto la data più bulgara possibile,
29 e/o 30 gennaio, si è accaparrato una quota importante di nomine
dirette e ha scatenato un sostanziale delirio politico-organizzativo nel
partito. Chi può dirgli niente?
Risultato: l’uomo contro il partito liquido, del collettivo contro i
personalismi, si è svegliato come il leader più craxiano degli ultimi
vent’anni, al cui potere tecnicamente iperplebiscitario (due primarie
vinte di fila) si somma la “fedeltà di progetto” degli eletti in
Parlamento, del Pd e di Sel (che non a caso ha tenuto analoghe primarie,
gli stessi giorni): gli devono tutto, se fanno casini stavolta li
linciano. Non più caminetti, al massimo qualche pacca sulle spalle alle
vecchie glorie, e azzeramento delle correnti da parte degli elettori.
Una piccola apocalisse, con un solo cavaliere.
L'articolo è stato pubblicato su The FrontPage.
|
8 maggio 2012
È NATA UNA STALLA
Un’altra volta. A vent’anni di distanza, tutto si ripete nella
stessa, identica, maniera. Per filo e per segno, le elezioni hanno
scandito il penultimo atto del big bang dei partiti, nel ben
noto copione mediatizzato di mazzette, manette, assalto alla spesa
pubblica e alla moneta corrente (ma senza la lira da svalutare) unito
alla disperante incapacità di fare politica. Vent’anni passati a non
decidere che cosa l’Italia avrebbe dovuto essere e ora, dopo che anche
l’ultimo dei fessi li ha sgamati, tutti a gridare all’antipolitica dei
bruti che minacciano le virtù repubblicane.
Così, come nel 1994 è arrivato il marziano antipolitico magnate dei
media, adesso ce n’è un altro, che conosce quelli nuovi (di media). E sa
(e lo scrive da anni a chiare lettere) che per vincere le elezioni
contro quei morti di sonno da cui è circondato non servono congressi,
tessere o sezioni né rimborsi milionari, che i partiti si spartiscono
come gangster al saloon. Meglio usarli contro di loro,
adesso che la gente fa davvero fatica ad arrivare alla fine del mese e
che il bollettino dei suicidi per debiti se la gioca con quello dei
caduti sul lavoro. Adesso, la gente, ai soldi ci guarda proprio.
La chiamano antipolitica, col riflesso condizionato di chi considera tout court la politica una cosa sporca e prende poco l’autobus. Forse perché, semplicemente, non credono possibile un mondo in cui un consulente informatico
di una banca (che deve prendere le ferie per fare campagna elettorale)
possa realisticamente arrivare al ballottaggio per diventare sindaco di
una città come Parma. E non sono tanto i politici di professione (che si
difendono alla meno peggio) ma la pletora di opinionisti che, eterni
interpreti dell’arte del disincanto, adesso spalancano gli occhioni e
sparano a caratteri cubitali.
La notizia più scioccante di queste elezioni non è l’affermazione di
Grillo, su cui il solito Giuliano Ferrara contro tutti ha sentenziato, a
una smagliante Bianca Berlinguer: “è il vero sconfitto della giornata,
con questo clima mi aspettavo il 20/30 per cento”. La sorpresa vera è
stata la botta d’arresto subita da Casini, Fini & Co. Come alle
amministrative del 1993, al centro si è spalancata una voragine,
considerata la caduta libera del Pdl (con Berlusconi in gita da Putin,
per non saper né leggere né scrivere).
Il Pd dicono che tiene. A regola è il primo partito d’Italia (visto
che il Pdl è via di scioglimento) e, nonostante non riesca a esprimere
candidati nelle grandi città (a Genova è in testa Doria, indipendente, a
Palermo Orlando, Idv, contro Ferrandelli, ex Idv), in termini di lista,
appunto, tiene. Sarà per questo che D’Alema va predicando la fine delle
leadership populiste e di certo, passata (se passerà) la paura dei
ballottaggi, Bersani penserà (forse a ragione) di potersi giovare per un
po’ dell’effetto-Hollande (segretario pacioso, senza grilli per la
testa, vince le elezioni mettendoci la faccia).
Ma c’è un ma. Quel famoso effetto ’94 non c’è alcuna ragione per cui
non debba ripresentarsi, con le stimmate dei giorni nostri. Non è che
gli elettori del Pdl e della Lega (bombardata ma non del tutto
affondata, anche se in via di mutazione grillina) siano scomparsi coi
loro partiti. E se, putacaso, possono bastonare gli odiati post
comunisti, magari votando una giovane faccia pulita senza partito,
perché non dovrebbero farlo? Per paura dell’antipolitica?
Oltre a Parma, dove il candidato è al ballottaggio con quello del
centrosinistra (Pdl quarto, tipo) in Emilia-Romagna la cartina politica
diventa interessante, se letta in controluce. Il Movimento 5 Stelle va
al ballottaggio a Budrio (in provincia di Bologna, roccaforte Pd) e a Comacchio
(in provincia di Ferrara) con risultati sopra il 20 per cento.
Tendenzialmente in regione non scende mai sotto il dieci e sfonda quando
ci sono questioni in grado di dividere la cittadinanza, sul merito
delle proposte politiche (inceneritore, centrale a biomasse, storici
cavalli di battaglia).
Come nel 1993 oggi il centrosinistra tira a festeggiare, occhieggia
speranzosa a Parigi e teme Atene come la peste, mentre Grillo sta
organizzando l’opposizione nelle sue roccaforti (di voti, potere, spina
dorsale), sui contenuti che scaldano davvero il cuore dei suoi, famosi,
militanti di base come fa contro Lega e Pdl dalle loro parti (rivolta
fiscale, nisba cittadinanza agli immigrati nati in Italia). Quando poi i
suoi candidati si dimostrano intelligenti e preparati e i vecchi ras
del villaggio sono troppo bolliti per correre (e/o per piazzare rampolli
presentabili) rischia pure di vincere.
A occhio, a Bersani converrebbe davvero mandare tutti a spendere e
andare a votare con questa legge elettorale. Tra un anno forse è troppo
tardi (anche per l’effetto-Hollande). E a chi, quando sarà il momento,
venisse in mente (Ferrara l’ha già esplicitato prima su Rai Tre, con
evidente sadismo) di proporre qualcosa che assomiglia al governo di
unità nazionale (non c’è bisogno di dichiararlo esplicitamente in via
preventiva, dopo aver approvato una legge elettorale proporzionale, la
gente capisce) perché “c’è bisogno di senso di responsabilità”, si tenga
bene a mente la lezione di Avigliana.
L'articolo è stato pubblicato su The FrontPage.
|
6 giugno 2011
ATTENTATO ALLA NEGROMANZIA
“A Nichi Vendola voglio bene. Ma quando va in una città che non
conosce dovrebbe ascoltare più che parlare”. Promette proprio bene il
sindaco di Milano, Giuliano Pisapia, che non ha digerito il
comizietto al solito tempestoso e appassionato con cui il leader di
Sinistra e Libertà ha salutato la sua storica vittoria, in Piazza del
Duomo. Il carisma da trasferta del governatore della Puglia, aspirante
Pisapia nazionale, è stato giudicato inelegante e inopportuno dal
“sindaco di tutti”, che ha puntualizzato stizzito che “a Milano si è
vinto perché abbiamo parlato dei problemi di Milano”.
Il negromante Vendola,
a regola, se la deve guadagnare anche e soprattutto in casa propria e
non basteranno i “comizi d’amore” e l’ispirazione poetica per ottenere
lo scettro di candidato premier del centrosinistra. Anche il carisma
popolano (supponendo che il cosiddetto popolo si disinteressi del tutto
ai congiuntivi) di Antonio Di Pietro sembra essere offuscato dalla nuova
pop star manettara che, fresco dell’immunità concessa dal
Parlamento Europeo nella causa per diffamazione intentatagli da
Mastella, ha sbancato l’elezione a sindaco di Napoli con oltre trenta
punti di scarto sul candidato del Pdl e senza apparentarsi col Pd.
Ma il grande sconfitto, celebrato da tutti i giornali, che s’è
candidato al consiglio comunale di Milano e ha preso la metà dei voti
dell’altra volta, è il negromante-capo. L’attuale (e spesso deprecata a
vuoto) personalizzazione della politica è una sua creatura, così come la
cultura di massa che ha segnato nel bene e nel male l’Italia a colori e
ha preparato il terreno. Ora forse gli è sfuggita di mano. L’era
televisiva è agli sgoccioli e il solo fatto di dare la colpa della sua
sconfitta a Santoro & Co. la dice lunga sulla consapevolezza
dell’uomo circa la contemporaneità e i suoi crucci. Berlusconi è
invecchiato davvero.
Fini, Casini e Rutelli, aspiranti negromanti da una vita, non se la
passano molto meglio. Certo, possono consolarsi con il solito balsamo
della rendita di posizione che, un po’ qui un po’ là, garantisce al
cosiddetto Terzo polo (che al pari degli altri due è diviso su tutto ciò
che in politica è fondamentale: valori, opzioni etiche, visoni del
mondo) qualche scampolo di esistenza che solo l’Italia delle eterne
signorie non rende del tutto effimera. Niente a che spartire con il
sogno finiano della destra legalitaria e liberale che scaldava i cuori
anche a sinistra (non sembra passato un secolo?) o con l’improbabile
riscossa neo-democristiana dai capelli ormai quasi tutti bianchi, ma
ancora abbastanza George Clooney per seguitare a prendere voti in
parrocchia (Casini e Rutelli sono interscambiabili a tale proposito).
Chi pare non avere di questi problemi è il segretario del Pd. Bersani
è unanimemente considerato l’anti-carisma per antonomasia e, di
conseguenza, la nemesi antropologica di negromanti e arruffa-popolo. Di
certo l’insperato trionfo elettorale della sua parte politica si deve a
una nuova leva di negromanti che, per consolidare il potere acchiappato,
si vede costretta ad ammazzare i padri, spesso vecchi e ingombranti. Il
rabdomante Grillo l’ha capito al volo con De Magistris (ogm scoperto
dal comico genovese e impiantato nell’Idv) e ha tentato di azzannare per primo tirando su il solito teatrino all’italiana.
Con la negromanzia berlusconiana al tramonto e i leader “usato
sicuro” di centro, destra e sinistra in potenziale affanno, a Bersani
tocca la scelta. Giocare in proprio, puntando sulla sua immagine di
“affidabile riformista con la testa sulle spalle”, o puntare su un
negromante di partito (c’è?) in grado sia di scaldare i cuori che di
governare l’Italia? Non si sa contro chi correrà ma vista la posta in
gioco conviene puntare sul migliore, anche se significa sacrificare un
po’ di ego. Siam mica qui a smacchiare i giaguari, o no?
|
2 marzo 2011
IL CORPO È MIO
“Incontro riservato tra il presidente del Consiglio e il cardinale
che ha chiesto e ottenuto garanzie su biotestamento, scuole cattoliche e
adozioni. Gli spauracchi delle gerarchie: «Fini ha nominato Della
Vedova capogruppo, Casini è troppo debole, «il Pd premia i gay e pensa
ai Pacs»”. Considerata la coincidenza tra dietrologie
e recenti dichiarazioni pubbliche, suona tristemente plausibile che il
premier pensi di risolvere il gap d’immagine presso l’elettorato più
benpensante, causato dalle note vicissitudini politico-gossippare, con
un classico do ut des. Tolleranza privata in cambio di intolleranza pubblica.
Niente di nuovo o di particolarmente scandaloso, specie se a
scandalizzarsi è un’opposizione che su questi temi ha visto morire sul
nascere partiti, coalizioni e programmi di governo. La legge sulle
coppie di fatto dell’ex governo Prodi (poi abortita) ha cambiato
talmente tanti nomi, loghi e contenuti da diventare una delle
barzellette più macabre della precedente legislatura, assieme alle
imprese di Mastella & De Magistris, alle manifestazioni dei ministri
contro lo stesso loro governo e alle piantine di marijuana piantate da
Caruso sul terrazzo della Camera dei Deputati (l’unico atto politico
degno di questo nome di Caruso che si ricordi).
Una cosa però è fare il tifo per il ritorno dell’Elefantino in tv (è
buona norma parteggiare per le persone intelligenti per partito preso,
indipendentemente dal loro, finché si parla di tv), altra è non rendersi
conto che se al Berlusconi bollito
resta soltanto la sponda clericale nuda e cruda, per giunta senza
margini di trattativa su nulla, è un problema per questa Italia. Il
rischio è di due tipi: prosecuzione dello stato yemenita in tema di
diritti civili delle persone di orientamento sessuale diverso da quello
maggioritario, restrizione della libertà di cura e ricerca e
dell’arbitrio sul proprio corpo. Dell’ultima parola.
In sostanza la posta in gioco, per l’ennesima volta da qualche secolo in qua, è l’habeas corpus.
Ferrara e la sua truppa di teo-dadaisti di belle lettere possono
infiorettare paginate intere di artifici retorici e minuetti linguistici
ma la faccenda non cambia. Chi decide, in ultima istanza, sul proprio
corpo? Chi decide che, in base al sesso che preferisco fare, posso
ereditare la casa dal mio compagno/a oppure andarlo a trovare
all’ospedale senza sperare nella clemenza del medico di guardia? Chi
decide come e quando devo morire?
Se la risposta a queste domande è lo Stato (per conto di Dio, della
Ragione, della Pachamama, di Maometto o Visnù poco importa) significa
che io non sono padrone fino in fondo del mio corpo. La rivoluzione
sessuale ha reso scontato un concetto che prima non lo era affatto,
l’affermazione del dominio individuale sul corpo, e l’ha fatto
rileggendo Wilhelm Reich,
un genio del Novecento che dava scandalo sostenendo, contro il fascismo
rosso e nero, che non si poteva essere liberi del tutto se non lo si
era sessualmente.
Reich si scagliava anche contro la pornografia seriamente indiziata
della “peste emozionale” che pian piano trasforma le persone nelle
corazze che si sono costruite a partire dalle proprie ossessioni,
sessuofobia inclusa. Su di lui non ci sono più dibattiti alle
occupazioni come nel ’68 e invece che di liberazione sessuale la
sinistra si occupa del lettone di Putin, ma per qualcuno
l’allievo di Freud, morto in carcere negli USA nel 1957 dopo che la
Food & Drugs Administration gli aveva bruciato i libri in piazza
(come i nazisti e l’Inquisizione), è ancora il totem della propria
ossessione. “La pornografia moderna è figlia di Reich il quale afferma
che tutti i mali della storia derivano dalla repressione sessuale, la
cui massima responsabile ovviamente sarebbe la Chiesa Cattolica.”
L'articolo è stato pubblicato su The FrontPage.
|
13 luglio 2010
OPPOSIZIONE SUL WEB
 “In assenza di opposizione «esterna» — il centrosinistra, privo di
identità, sembra incapace di essere un’alternativa ideale e
programmatica credibile — il centrodestra si è creato un’opposizione
«interna».” Piero Ostellino sul Corriere della Sera
rinverdisce la quotidiana consuetudine nazionale alla bastonatura di Pd
e soci, rei di non contare nulla (né di fare granché per riuscirci)
proprio durante l’apparente implosione in corso nella maggioranza di
governo in diretta mainstream e con apici di autolesionismo degni,
appunto, della sinistra (il match Bocchino vs resto del Pdl sul caso Verdini è solo l’ultimo e più chiassoso esempio).
Sparare sul Pd è diventato una pratica talmente diffusa e bipartisan (Valentino Parlato domenica
sul Manifesto non è stato certo più tenero di Ostellino con Bersani e
la ditta) da suonare ormai fastidiosamente oziosa. Non che il resto
dell’opposizione brilli per acume progettuale alternativo. Vendola è
impegnato nell’ennesima insopportabile metafora operaista (la Fabbrica
di Nichi), messa in piedi da gente che in fabbrica difficilmente ha mai
messo piedi, capace di sfornare un’altra verbosa kermesse
(gli stati generali, forse i trentesimi convocati da ogni sinistra in
circolazione) e di chiamarla Eyjafjallajökull – Eruzioni di buona
politica – umiliando in termini di dadaismo (involontario nel loro
caso) Rondolino (che su The FrontPage ha declamato il suo “elogio del vulcano islandese”).
Il karma manettaro di Di Pietro gli si sta rivoltando contro (il
figlio sotto inchiesta, le foto con gli spioni, i sospetti sulla
gestione familiare dei fondi del partito) e i compari di tante
crociate (Flores D’Arcais, Grillo, De Magistris) gli stanno voltando le
spalle uno a uno a suon di oblique prese di distanza, fronde interne o
furiose graticole mediatiche. Casini flirta di nuovo col premier in
panne e quindi potenzialmente più generoso (col cinismo realista dei
democristiani), Ferrero fa il doppio lavoro tra Regione e partito e
Pannella vuol mangiarsi pure Bordin.
In questo scenario desolante è uscita la campagna del Pd dell’Emilia-Romagna (realizzata dalle Lance Libere) contro i tagli agli enti locali imposti dalla scure di Tremonti: sito, profilo su Facebook,
450000 cartoline da spedire all’inquilino di via XX Settembre e
molteplici opportunità di partecipazione. Non sarà la rivoluzione
d’ottobre ma si capiscono bene le ragioni concrete per cui i cittadini
(a parere del Pd) dovrebbero essere incazzati col governo. E per una
volta bavagli, amanti, tangenti e P3 non c’entrano niente.
L'articolo è stato pubblicato su The FrontPage. L'immagine viene da qui.
|
28 aprile 2009
MANIFESTIVAL 2009
 "UDC: Un Divorziato Cattolico"
L'occasione fa l'uomo creativo. Basta
un generatore automatico di manifesti - messo a disposizione degli
aspiranti copywriter da Paul The Wine Guy - e le contraddizioni, le
ruffianerie e le involontarie comicità dei nuovi manifesti dei partiti
per le elezioni europee saltano fuori in tutta la loro creatività.
La
moda "virale" di taroccare i faccioni degli eterni candidati a
qualcosa, che incombono seriali da tangenziali e vicoli medioevali in
quella campagna elettorale permanente in cui si è definitivamente
trasformata la politica italiana, non è certo una novità. Solo, si
vanno affinando gli strumenti tecnologici per permettere a chiunque -
anche a chi non è in grado di photoshoppare le foto - di scoprire la
propria vena creativa e magari di sfogarsi pure un po'. L'articolo completo, l'ultimo Bianconiglio pubblicato su Aprile, si trova qui. L'immagine l'ho presa in prestito qui.
|
8 aprile 2008
DISGIUNGO?
 Per votare voto, ma come sempre vado per esclusione. A destra no, il mio background familiare me lo vieta (il nonno Giorgio è sepolto nel Sacrario di Marzabotto, il bisnonno Augusto, Conte Arcelli, ha fatto la fame e la galera per non prendere la tessera del pnf, tutta la mia famiglia è antifascista), quindi non posso votare per la Santanché anche se è un'icona trash. E neppure per Fini perché non esiste più.
L'Avanzo di Balera, poi, mi ha tolto ogni residuo dubbio con l'ultima minchiata dello stop ai condoni: se devo pure pagare le tasse e impazzire dietro i deliri della nostra burocrazia kafkiana per spostare una finestra, non si vede per quale altra ragione potrei votarlo. Non mi pare che il vecchio palpaculi riservi qualche altra brillante sorpresa. Meglio il fucilatore Bossi (non è neanche troppo fascista e le ampolle con l'acqua del Po e i riti celtici mi sono sempre piaciuti), ma il mio darwinismo me lo impedisce.
Casini e compagnia sono invotabili per un laicista-relativista della mia risma. Dicono qualcosa di interessante sul quoziente familiare (ma di che famiglia stiamo parlando, per le coppie gay niente quazionte?) e l'intelligente Tabacci ha idee condivisibili sulla politica fiscale e sulle liberalizzazioni. Pezzotta però è troppo brutto e ha una voce terribile. Bisognerebbe porre un limite alla bruttezza in politica, una sorta di modica quantità, come per le droghe.
Rimane l'altra metà del campo. Boselli l'ho votato due anni fa quando si è presentato con i Radicali nella Rosa nel Pugno. Due mesi dopo a New York apro il Corriere della Sera e trovo la sua intervista in cui fa a pezzi tutto e tutti. A 'sto giro s'incula col suo zero virgola. Bertinotti lo disprezzo personalmente, è un fighetto di merda peggio di Obama, quindi ho delle difficoltà a votarlo. Per non parlare di Diliberto, Pecoraro, Giordano e Rizzo (che è una testa prima di tutti noi sull'ideale grafico darwiniano dell'evoluzione della specie). Va detto che Sinistra Arcobaleno è pur sempre lo stesso brand politico di Nichi Vendola (che avrei votato come candidato premier) e che la campagna di comunicazione è efficace. Però si sono tirati dietro pure Occhetto che mena rogna peggio di Ciubecca. Uòlter alla fine è il meno peggio. Si è preso la pattuglia di Radicali (a partire da Emma Bonino) e sta mettendo in pratica quell'evoluzione bipartitica e presidenziale (di fatto) che è l'unica via d'uscita al tunnel in cui si è ficcata l'Italia. C'è Di Pietro, è vero, ma non dovrebbe nuocere più di tanto.
Di certo la cosa di cui sento meno il bisogno in questo momento è l'inevitabile festival medievalista che segue la vittoria della destra, con i proibizionismi folli che ne derivano. La Bossi-Fini sull'immigrazione, la legge sulla procreazione assistita e quelle che hanno reso il consumo di (qualunque) droga e la condivisione di files reati da perseguire penalmente sono il bilancio della gestione 2001/2006. E dovrebbero bastare.
Per questo, forse, disgiungo.
L'opera di Pomodoro, uno dei suoi disgiunti, l'ho presa in prestito qui.
|
15 febbraio 2008
SHINY HAPPY PEOPLE
L'altra sera ho visto Uòlter da Vespa. Continuo a credere che non possa perdere. Proprio così, penso che appena la gente vede lui e il nano di fianco capisce tutto quello che c'è da capire: lui sarà anche Obama in un film di Moretti ma l'altro è un Avanzo di Balera. Un vecchio idiota palpaculi.
Bertinotti, dopo il successo dell'intervento alla prostata, è il candidato premier della sinistra e dei movimenti (per cambiare), Casini traccheggia tra diciotto liste democristiane e il Pdl, il balilla ha sciolto il partito ma non lo dice a nessuno, Daniela Santanché è candidata per la destra, i socialisi oscillano tra Bertinotti e il nulla e i radicali sono stati sfanculati un'altra volta, proprio adesso che il Monatto si è scatenato e con la sua lista contro l'aborto rischia di strozzare il Pdl in culla?
Non c'è niente da fare, il vecchio pirata (nel video uno dei suoi numeri da circo più riusciti, non mi risulta che abbia fatto neanche un giorno di galera) non lo vuole a mano nessuno. Niente di politico, naturalmente.
Shiny happy people: qui.
|
25 gennaio 2008
DIETRO LA LINEA GOTICA
 Come al solito. Manuel s'è fatto di nebbia, Vanessa ed io lavoriamo/cazzeggiamo di fronte ai nostri due mac, a un metro di distanza. Dietro di noi Rebecca e Thor cercano di accoppiarsi per la prima volta. O meglio: Rebecca (femmina) cerca di convincere Thor (masculo) a smettere di giocare con il suo amico immaginario topo o con i cartoni del nostro trasloco e a fare l'uomo. Senza troppi successi, sinora.
Ogni tanto capito sulle news del Corriere o della Stampa e m'incazzo. Quando Vanessa mi sente smadonnare, le torna in mente e s'incazza anche lei. Leggere l'Italia oggi fa schifo, anche sui "media" italiani. Dobbiamo aver toccato davvero il fondo.
Barro me lo segnala, nell'ultima di tre mail una più incazzosa dell'altra, con un esempio piuttosto calzante ...e Montezemolo, per una volta (anzi, per la
precisione per la seconda volta) ha detto una cosa giusta: "...Noi contro il
pizzo mentre Cuffaro resta al suo posto..." Ciccio, in che cazzo di paese
viviamo?
Già, in che cazzo di paese viviamo? Forse nello stesso in cui Bagnasco può avverare, in questa giornata in cui è stata raggiunta una sconosciuta vetta di miserabilità politica ed istituzionale, l'adagio popolare la prima gallina che canta ha fatto l'uovo, dichiarando le sue minchiate ai "media" untori. E perdendo l'ennesima buona occasione per tacere ed evitare di rendere patetico sé stesso e l'abito che indossa con frasi tipo: la Cei non si occupa di politica.
In mezzo al trionfo della realtà su una scala più sottile che si impossessa del cervello dei leaders dei millecinquecento partiti, l'unico che svetta come un faro nella nebbia, rimane Prodi che dichiara placido ho perso, farò il nonno. Prendessero esempio da lui i gerontocrati ignoranti e arroganti che occupano istituzioni, atenei, scuole, imprese, sindacati, partiti, "media"; fino all'esalazione dell'ultimo respiro.
Poi ci sono alcuni, solo alcuni, che sfidano il ridicolo per tentare di sventare il peggio: andare a votare con questa allucinante legge elettorale, architettata dalla gestione Avanzo di Balera&Co. con l'unico scopo di stroncare sul nascere qualunque tentativo di governare da parte del centrosinistra (e usata da tuttii, centrodestra e centrosinistra, per piazzare amici, parenti e conoscenti, grazie all'impossibilità per gli elettori di scegliere i propri candidati).
Certo l'Avanzo di Balera e il suo balilla ritrovato vorrebbero andare a votare subito. Domani. Si capisce: come farebbero sennò a sbatterci di nuovo in galera per una canna, a precarizzare ancora di più il lavoro e a dare 150 anni di Guantanamo per un mp3 scaricato, mentre sono impegnati a depenalizzare i reati che li riguardano e a mettere fuori legge tutto ciò che li minaccia? E gli altri? Ne parliamo? Devo davvero ridurmi a sperare in Casini e Buttiglione?
Dice, tu vuò fa' l'americano. Che ci posso fare se le buone notizie arrivano da oltreoceano? Ogni tanto tra l'altro fa piacere essere smentiti.
E comunque mi scoccia parlare così. Esterofilia e cinismo oggi suonano insopportabilmente gratutiti. Ha ragione Vanessa quando dice che c'è bisogno di speranza adesso. Vero, ma se la realtà è questa qua e le facce sono quelle lì, mi sa che non c'è proprio un cazzo da fare. Fortuna che il Comandante Bulow se n'è andato in tempo per evitarsi questo spettacolo penoso.
Bisogna solo sperare di non averne bisogno più, di comandanti bulow, ma fuori è un brutto mondo e non mi sento in grado di rassicurare neanche su questo.
Occorre essere attenti, per essere padroni di sè stessi occorre essere attenti, la mia piccola patria dietro la Linea Gotica sa scegliersi la parte: qui.
La foto della 31sima Brigata Garibaldi a cavallo l'ho presa qui.
|
|
|